Riflessioni del Prof. Ivo Mandarino: Il processo di conoscenza per David Hume. Parte III


 

In questo post il Prof. Ivo Mandarino tratterà il processo di conoscenza per David Hume relativamente a quegli aspetti che servono per definire in modo esaustivo il discorso.

Avevamo concluso l'argomentazione con il ragionamento in merito all'io per come veniva rappresentato da Cartesio e per come sarà rappresentato, invece, da Hume ben comprendendo così il fondamento del suo scetticismo intellettuale ed intellettivo.

Per Hume noi non facciamo alcuna conoscenza né alcuna esperienza, come non abbiamo nessuna impressione diretta del nostro io (inteso come entità unitaria ed immutabilmente identica a se stessa).

Ciò di cui abbiamo esperienza, parlando dell'io, è di un fascio di impressioni che si susseguono nel tempo e che non possono perciò essere ricondotte ad una sostanza unitaria. Noi percepiamo solo stati d'animo mutevoli e successivi fra di loro che scardinano anzi il concetto di unità e di immutabilità.

I nostri stati d'animo, successivi l'un l'altro, sono aspetti che compaiono nella nostra coscienza come in una sorta di teatro.

Il mondo e l'io, stando così le cose, sono razionalmente ingiustificabili, dal momento che l'unica realtà che possiamo comprendere è quella garantita dalle nostre percezioni che Hume identifica come io e che è un fascio di percezioni, susseguenti e mutevoli.

In merito a ciò il nesso causa-effetto non è necessario ma è fondato solo sull'abitudine psicologica di vedere i fatti in un modo piuttosto che in un altro. La natura, il mondo stesso, persino l'io, appaiono in un modo ma potrebbe - benissimo - esser differente. Il tutto è validato unicamente dall'abitudine, dalla consuetudine.

Il nesso causa-effetto si fonda sull'esperienza (mai su un ragionamento aprioristico) e l'esperienza non è garante del futuro. Potrebbero benissimo cambiare le condizioni ed esserci differenti sviluppi per ogni fatto fin qui considerato, unanimemente, in un certo modo.

Il nesso causa - effetto allora è fondato sull'abitudine psicologica ed è privo di oggettività obiettivabile.

Ciò ci spiega perchè per Hume il mondo e l'io siano ingiustificabili come realtà universale, ma solo come realtà a noi concepibile se intesa come fascio di percezioni susseguenti.

Per Hume non vi è oggettività nell'io e nel mondo, a differenza di Cartesio per il quale ambedue venivano posti sotto le lenti del dubbio metodico e, prima ancora, resistevano all'analisi del dubbio metodico e, con la strutturazione di un metodo scientifico era possibile, ricostruire il mondo ed il suo senso complessivo, la cui base era data dalla veracità dell'io, preso come assunto primigenio, di cui si aveva evidenza per la sola propria esistenza.

A rigore, per Hume, ciò non avviene. La natura umana per Hume è un complesso inestricabile che va dal sentimento alla ragione, dall'istinto al calcolo ed in ciò si deve la definizione di fasci di percezione.

La filosofia stessa, più che ragione pura, per Hume è fondamentalmente istinto, curiosità e non già ragione indagatrice.

Oltretutto, con Hume abbiamo un io che è pluralità, pluralità di percezioni susseguenti che fanno sì che si abbia la dicotomia tra ragione e sentimento, un'esperienza che fonderà il romanticismo del 1800.

Un insieme di antitesi tra ragione e sentimento, con varie pulsioni che formano l'io interiore dell'uomo, in una pluralità indistinta.

In questo senso, allora, e per quanto detto, per l'appunto, l'io era il fondamento del sapere per Cartesio, ma non lo sarà per Hume.

A livello di morale e di società, infine, e diciamo proprio solo due concetti che mettiamo in evidenza, il bene per Hume è ciò che è utile alla felicità collettiva ed il benessere e la felicità individuali sono simpateticamente connessi al benessere ed alla felicità collettivi, sempre.

Per "simpatetico" e per "simpatia" Hume ritiene che ogni singolo individuo partecipa e prende parte dei vissuti interiori degli altri, particolarmente del dolore altrui.

Il termine è connesso a questa interpretazione proprio etimologicamente dove sin in greco antico vuol dire "con" e pathos significa "affezione", "dolore".

Da questi termini anche quello latino di cum passio, compassione.

Ed in effetti ciò che ci dice Hume al riguardo è proprio la definizione di un sentimento che è capacità di mettersi nei panni altrui e di immedesimarci nelle pene degli atri o nel piacere altrui "come se fosse in gioco il nostro vantaggio o svantaggio". E' questa una "qualità della mente umana" come la chiama lui stesso che è "principio potentissimo" sempre per usare parole sue ed è in grado di farci provare piacere per ciò che è utile o benefico per gli altri e dolore per ciò che li danneggia.

Ci sentiamo quindi accomunati e, quasi, diremmo così, affratellati in modo che le sensazioni degli altri sono anche le nostre e tutti siamo universalmente coinvolti nel percepire le stesse cose, nello stesso modo anche e, soprattutto, emotivamente. 

In questo modo Hume è anche convinto di poter costruire una società fondata su virtù che partano dall'utilità sociale e collettiva, fondate su quella che lui definisce esser una morale gentile, non più vestita a lutto dei caratteri rigorosi di cui l'hanno rivestita filosofi e teologi nel tempo ma in cui si mostra "gentile, umana, benefica, affabile; anzi in certi momenti giocosa, allegra e gaia"

La morale, dice Hume, non prescrive inutili austerità e rigori, sofferenze, patimenti ed umiliazioni ma il suo unico scopo è quello di rendere gli uomini felici e contenti in ogni istante della loro vita. 

Grazie per l'attenzione, arrivederci a presto.

  

Prof. Dott. Ivo Mandarino

Docente di Filosofia e di Scienze Umane e Sociali     

Commenti

  1. ANNOTAZIONE - Si legga dubbio metodico e dubbio assoluto, altrimenti avrei fatto un'inutile quanto poco corretta stilisticamente ripetizione. Si tenga conto inoltre, di taluni errori di battitura, presenti qui ed in altri articoli di cui ci si è resi conto a pubblicazione già avvenuta. Purtroppo, a cagione della fretta di pubblicazione e per la scrittura cosiddetta agevolata, tali errori sono più frequenti che in passato, almeno teoricamente, e ciò vale per tutti coloro che operano in questo campo e ben conoscono le dinamiche attuali.
    Grazie per la comprensione ma, tanto dovevo, per correttezza.

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  2. Quindi si parla di dubbio metodico e dubbio iperbolico. Il dubbio iperbolico quando si tocca il vertice con il dubbio metodico e si tratta di verità con caratteri universali.

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