Prosecuzione con il pensiero di Soren Kierkegaard in forma scritta.

 Brevi appunti su Kierkegaard che proseguono i video e li anticipano, integrandoli e da cui pure devono essere integrati.


                                                           PROF. IVO MANDARINO

Questi appunti riguardanti il pensiero di Soren Kierkegaard saranno oggetto anche di prossimi video ma intendono anticipare quel che verrà trattato.

Nei video eravamo giunti alla critica che Kierkegaard conduce contro l'hegelismo, soprattutto perchè il pensiero di Hegel prevedeva lo sviluppo dell'idea nella ben nota triadicità.

Ora, per il filosofo danese non ci si deve basare sull'idea ma sull'individuo che si rappresenta il pensiero e che non è più un mezzo attraverso cui l'idea si pone, tantomeno nella ben nota triadicità poiché non vi è bisogno di un essere che si ponga nella realtà e che sia pensato per esser risolto, nella sua interezza, da sé stesso (l'idea) e da chi lo pensa (l'uomo, l'io).

Per Kierkegaard cambia completamente la prospettiva. L'importante è il singolo come soggetto pensante che è attore del proprio destino, unitamente alle scelte che gli si pongono (più che mai ramificate) ed alle quali dovrà dare assenso per proseguire il proprio cammino terreno.

Rebus sic stantibus (stando così le cose) il tutto non si risolve nell'et - et come sarebbe stato nella dialettica hegeliana che portava con "e questo, e l'altro" ad una sorta  di sintesi tra le parti, tra colui che pensa e ciò che deve essere pensato. Con il filosofo danese assistiamo invece ad una rivalutazione del singolo, dell'individuo, anche alla luce di quanto già abbiamo detto per cui egli avrebbe voluto sulla propria tomba non già i dati anagrafici ma "quel tipo".

Questo, però, comporta anziché un et - et (e...e) che riporterebbe alla sintesi ma ciò non è possibile poichè "parlare di un'unità superiore che debba unificare le contraddizioni assolute è un attentato metafisico contro l'etica" (Diario, 1840 - 1847).

Ecco che perveniamo così alle tesi avanzate in Aut-Aut la sua opera certamente più famosa, pubblicata sotto forma di scritti con vari pseudonimi, il cui titolo è già, in sè, molto esemplificativo: "o...o". Ovvero: o una cosa o l'altra. Non è possibile un'opera di sintesi. Bisogna operare una scelta. Si è - letteralmente - ad un bivio. Se non ad un trivio. Spesso anche la non scelta è già, in sè, una scelta. 

Le alternative, allora quali possono essere? Kierkegaard è convinto che vi possano essere degli stadi nella vita che possono essere sequenziali (ma che per taluni non lo divengono a motivo delle loro scelte) e che sono opzioni distinte da veri e propri abissi, da salti tra uno stadio ed un altro per molti invece, da grandi differenze.

Ogni forma di vita escluderebbe infatti l'altra.

Tre sono i principali stadi che l'uomo puo scegliere di vivere: quello estetico, quello etico e quello religioso.

Lo stadio estetico è la forma di vita tipica di chi esiste nell'attimo, fuggevole e irripetibile. L'esteta è quell'uomo che vive poeticamente, cioè di immaginazione ma anche di riflessione. Egli costruisce per sè un mondo di fantasia, di suggestione che rifugge ogni banalità, ogni significato insulso e meschino. E' però anche lo stadio di chi non si sente mai pienamente soddisfatto è vive le proprie singole pulsioni come insufficienti per avere una vita piena e soddisfacente cui pure anela incessantemente.

E' lo stadio del Don Giovanni, il celebre protagonista dell'opera di Mozart che è sì un grande conquistatore di donne ed è dotato di grande fascino verso il pubblico femminile ma che, appunto, non riesce a trovare in una sola donna tutto ciò che cerca poichè ognuna di loro, almeno ai suoi occhi, presenta delle manchevolezze che - viceversa - trova nelle altre.

Ecco, allora, che anche questo stadio, lungi dal pervenire alla perfezione gli comporta ben presto la noia per poi naufragare nella disperazione più profonda. 

La disperazione a cui si giunge è già una scelta.

Con la scelta della disperazione si può approdare allora ad una vita etica attraverso la quale l'individuo si riappropria di sè, matura, diviene coscienzioso, è equilibrato, è l'uomo lavoratore, è il buon marito ed il buon padre di famiglia che nel lavoro, nel matrimonio trova la propria più profonda e soddisfacente vocazione. 

Anche in questo caso, che appare senz'altro pervenire ad esiti sensibilmente migliori rispetto al primo, lo stadio termina non appena l'individuo si rende conto che la vita comunque così condotta lo porta ad avere ripensamenti, pentimenti, rincrescimenti e l'individuo, in siffatta condizione, non trova che quale apertura benefica per il proprio spirito e per la propria anima che quello di indirizzarsi verso la vita religiosa.

Prima di vedere però le caratteristiche di questo terzo stadio, vediamo di operare un rapido confronto tra l'etica di Schopenhauer e quella di Kierkegaard

Per Schopenhauer è il secondo momento del percorso di liberazione dalla volontà di vivere. Per Kierkegaard è il secondo stadio dell'esistenza. Per S. è superiore alla contemplazione estetica. Per K. è un'alternativa radicale allo stadio estetico. Per S. nasce dalla pietà o com-passione (tipico di chi si carica delle problematiche dell'altro). Per K. nasce dalla disperazione causata dalla vita estetica e dalla conseguente scelta di... scegliere!

Da ciò deriva che per S.: si realizza nella giustizia e nella carità (amore del prossimo e impegno per alleviare le sue sofferenze) e, in quanto forma di attaccamento alla vita,può essere superata con l'ascesi.

Da ciò deriva pure che per K.: si realizza nel matrimonio e nel lavoro (normalità, ripetitività e fedeltà a se stessi) e, in quanto forma di esistenza non ancora del tutto autentica può essere superata con il salto nello stadio religioso.

Ed arriviamo così allo stadio ultimo, più importante di tutti. Nello stadio religioso, l'individuo vive la propria fede intesa come "rapporto assoluto con l'Assoluto" (Timore e Tremore), cioè è lo stadio in cui l'individuo, andando al di là della limitatezza della vita etica si apre completamente e totalmente a Dio, riuscendo così vincere l'angoscia e la disperazione anche se in modo non assoluto, poichè sono tratti caratterizzanti del suo essere uomo.

L'abisso di cui si parlava in premessa e che separa lo stadio etico da quello religioso è incarnato dalla figura di Abramo che non si riduce alle realtà tranqullizzanti e calme che si potrebbe pensare gli possano giungere dal suo esser credente fiducioso in Dio, bensì dalla complessità e dalla estrema delicatezza, oltre che dal rigore che tali scelte presuppongono e che sono, in assoluto, le più complicate ed umanamente scandalose o legate al paradosso o alla criticità estrema di una richiesta: si pensi al sacrificio del figlio Isacco che potenzialmente viene chiesto ad Abramo o al morire in croce sacrificandosi per la redenzione e salvezza di tutta l'umanità. In termini puramente umani due casi che escono fuori da ogni logica ma ne acquistano una, nobilissima, se consideriamo l'aspetto religioso che trascende la stessa logica mondana.

Ed è in questo modo che Kierkegaard ritiene che la stessa angoscia possa essere superata non tramite l'accortezza umana ma solo con la fede in Dio, ovvero in colui al quale tutto è possibile.

L'angoscia che possiamo superare con la fede certa nel Creatore è tipica del rapporto dell'uomo con il mondo, mentre la disperazione è quell'atteggiamento tipico dell'uomo con se stesso. In sostanza, da solo, con le proprie sole forze, l'uomo non potrebbe mai raggiungere l'equilibrio. Da ciò deduciamo che anche la disperazione deriva da un forte anelito di ricerca della perfezione che, ben presto ci si rende conto, non si esaurisce nel rapporto in sé e con sé. Sotto questo aspetto il problema è ancora più forte che non il rapporto con il mondo. Quando è in gioco la partita di se stesso con o contro se stesso, tutto si complica.

L'uomo sente tutta la mancanza di poter pervenire ad abbracciare completamente il proprio Creatore. Sente di non essere una creatura angelica e di non poter essere completo, di mancare di alcune caratteristiche.

Siccome siamo soggetti finiti, imperfetti e perituri l'angoscia sarebbe in teoria insuperabile. Ma dal piano del mondo passiamo a quello introspettivo...a quello della disperazione, e questa è ricerca, per l'appunto, spasmodica del Creatore, si risolve in Lui che è infinito, imperituro, ingenerato ed increato e, dunque se l'angoscia viene accompagnata dalla fede, ecco che la via è tracciata.

In altre parole, noi viviamo tutta la disperazione di saperci non autosufficienti da un lato ed anelanti di conoscere il perfetto (il Creatore) dall'altra. 

La fede sola è dunque la via per eliminare la disperazione: essa è la condizione in cui l'uomo, pur orientandosi verso se stesso e volendo essere se stesso, non si illude di essere autosufficiente ma riconosce la propria dipendenza da Dio.

L'uomo conosce così quello che Kierkegaard chiama scandalo del cristianesimo ovvero il fatto che la realtà dell'uomo sia quella di un individuo isolato di fronte a Dio, e che ogni individuo come tale, sia esso un potente della Terra o un individuo qualunque, esista dinanzi a Dio.

L'uomo vive una condizione di apparente contradditorietà poiché è solo nel rapporto con Dio che la volontà di essere se stessi non urta contro l'impossibilità dell'autosufficienza, determinando così la disperazione poichè solo in questo caso si tratta di volontà che si affida alla potenza da cui l'uomo stesso è posto, cioè da Dio Padre stesso.

Che cosa ne deduciamo, dunque? Che la fede, per Kierkegaard, è scandalo, paradosso, scacco alla ragione. La fede, tuttavia, è l'unica terapia efficace contro la disperazione, poichè è la condizione in cui l'io, pur orientandosi verso se stesso e pur volendo essere se stesso, sa di non essere autosufficiente ma riconosce appieno la propria dipendenza dal Creatore che lo ha generato e che, Egli solo, può garantire la sua piena e totale realizzazione.  

Per una maggiore e completa trattazione del pensiero di Kierkegaard si vedano anche i video sul mio canale YouTube.  

PROF. IVO MANDARINO           

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