Estratto dal mio testo "Tavola rotonda:..." Edizioni Riflesso, Asti, 2005, Breve commento all'architettura nell'Estetica di Hegel

 Due immagini del Prof Dr Ivo Mandarino 




Il presente lavoro è un estratto ed una rielaborazione tratta dal mio testo "Tavola rotonda:..." che si componeva di cinque saggi, tra cui il presente - qui riadattato - in cui ci si concentra sul simbolo e la sua allusività di cui l'arte e l'estetica sono parte integrante.

Questo affermavo anche stamane durante uno dei video che registravo sul mio canale YOUTUBE che vi invito ad andare a vedere. Vi ricordo, inoltre che sono, anche, titolare di una pagina Facebook e di una Twitter, al momento (con il progetto di rientrare - a breve anche in Instagram ed in Pinterest), in cui potrete prendere nota dei link collegati ai video pubblicati su YouTube.

Vi chiederei, se vi piacciono, di lasciare il vostro "like" e di iscrivervi al canale stesso. Grazie mille!

Veniamo, ora, a quel che argomenterò di quell'ormai lontano lavoro che già era una rielaborazione di una vecchia ricerca universitaria, poi trasformata in saggio ed ora ulteriormente evolutasi in video su YouTube ed in post su Blogger.

                                                           Simbolo    

Premesso che lo scopo della presente trattazione è quello di suggerire l'ipotesi secondo cui tutta l'arte è un rimando, un alludere, anche se Hegel dirà che per realizzarsi vi dovrà essere corrispondenza di forma e di contenuto e che tuttavia ciò non si verificherà mai in modo del tutto pieno e compiuto, veniamo ora alla definizione del concetto di simbolo e di simbolico nella visione di Hegel per arrivare successivamente alla delineazione delle forme principali del simbolo stesso ed alle corrispondenti espressioni artistiche pratiche nel fenomenico ad opera dell'uomo. Il simbolico, per Hegel, è da un lato un periodo storico, quello inaugurato dalla pre-arte che propriamente non è ancora arte ma indeterminatezza, confusione, incompiutezza, mescolanza tra vita pratica, religione, filosofia ed ogni altra questione della vita. Questo periodo è peraltro simboleggiato dall'architettura, definita da Hegel come arte simbolica per eccellenza. Dall'altro lato, invece, il simbolico viene definito come il rimando vero e proprio di un oggetto a qualcos'altro. Questo qualcos'altro è lo spirituale. L'arte, dunque, allude allo spirituale, rimanda ad esso. L'arte, allora, è propriamente un simbolo e non soltanto nella fase propriamente simbolica, ma in generale; lo è oggi che ha perduto il suo primato tra le espressioni dello Spirito Assoluto: il simbolo dello Spirito Assoluto concretizzatosi in varie espressioni materialmente costruite dall'uomo. L'architettura, che è l'arte simbolica per eccellenza visto che essendo di pura materialità non può, se vuol rimandare allo spirito, che essere solo un simbolo di esso, viene a sua volta simboleggiata dalla Sfinge, opera architettonica mista di elementi animaleschi ed umani e dunque, proprio per questo, profondamente enigmatica e peculiarmente simbolica. Il simbolo è propriamente un'immagine o un oggetto concreto che rimanda però ad altro, il suo significato non è in sé ma è da sé verso altro, "il leone, per esempio, è considerato simbolo del coraggio, la volpe dell'astuzia,..." (Hegel, Estetica, p.345) e dunque l'immagine non va considerata o perlomeno può non essere considerata in sé ma per ciò che vuol significare (c'è un caso, il paragone, in cui anche l'immagine, insieme al suo significato viene considerata per ciò che direttamente rappresenta), ciò a cui vuole alludere: in altre parole in un dipinto può non interessarci affatto il leone in quanto tale, né il contesto nel quale il leone si trova ma ciò a cui vuol rimandare; nella fattispecie, al concetto di coraggio, per esempio. Ma c'è di più: un certo simbolo può essere utilizzato in forma del tutto convenzionale oppure può essere utilizzato per rappresentare una caratteristica o una qualità universale mentre si potrebbe benissimo utilizzarne un altro per rappresentarla e sempre con la stessa efficacia "Così il leone certamente è il migliore e più diretto simbolo della forza; ma altrettanto può esserlo il corno, il toro,...(Ibidem, p.346).

Nell'Estetica compaiono nell'ordine prima il segno e poi il simbolo: indicativamente si potrebbe pensare ad un ordine consequenziale volutamente in questo senso, in realtà l'ordine dovrebbe essere rovesciato. Il segno infatti è, in un certo senso, più simbolico del simbolo stesso (basti pensare alla sua incomprensibilità per culture differenti e che quindi non conoscono le convenzioni che reggono quei segni). E' un simbolo convenzionale "e la sua espressione è un legame del tutto arbitrario" (Ibidem, p.344) cioè così voluto e convenzionalmente codificato da una certa cultura, può o non può essere accettato universalmente ma il dato indicativo è che ci rimanda direttamente a ciò a cui vuol alludere neppure nel caso che si possa interpretare con certezza quella cultura. Un esempio in tal senso può essere rappresentato dal linguaggio: la parola non ci rimanda direttamente all'oggetto a cui stiamo pensando come potrebbe fare, invece, l'immagine. Neppure se la parola è di un linguaggio di nostra conoscenza. Tra la parola e l'oggetto, insomma, non vi è un riferimento immediato. Ulteriore problema si pone, ovviamente, se non siamo in grado di interpretare quel linguaggio neppure concettualmente poiché così si aggiunge in più l'ostacolo della non conoscibilità di ciò che quella parola concettualmente vuol riferire. Il segno rimane allora non decodificato, non chiaro, almeno relativamente a ciò che noi sappiamo di quella cultura. Parimenti: "Altro esempio di questi segni sono i colori... Tale colore non contiene in se stesso alcuna qualità che esso abbia in comune con quel che significa, cioè con la nazione che da esso viene rappresentata" (Ibidem, p.344). Pertanto se vediamo una bandiera non abbiamo alcun elemento che ci dica, inizialmente, che essa sia propria di uno Stato piuttosto che di un altro. Quando si è data la definizione di simbolo si è fatto cenno alla possibilità che l'immagine potesse o non potesse essere considerata in sé: questo problema è propriamente definito da Hegel: "carattere debbio del simbolo" (Ibidem, p.346). Per spiegare tutto ciò, ritornando all'esempio del leone quale simbolo di coraggio e di forza, se l'immagine che noi ci troviamo di fronte rappresenta un leone e l'intento è di far ricadere l'attenzione proprio su di esso ed al contempo di sottolineare le caratteristiche di cui quell'animale è simbolo, ci troviamo di fronte a quello che Hegel definisce paragone.

A questo punto, nella trattazione del saggio, riprendevo concetti hegeliani (di cui do in parte conto anche nei video su YouTube prima citati) che, però non è qui il caso di riportare con tutta quella precisione e partizione, ai fini del nostro discorso, maggiormente incentrato sul significato allusivo di simbolo e di segno. Basti qui ricordare che Hegel ribadisce il fatto che il simbolo denoterebbe varie forme d'essere e passerebbe attraverso tre fasi principali (simbolismo inconscio; simbolismo della sublimità; simbolismo cosciente).

Giunti a questo punto ci sono alcuni aspetti da considerare. Il simbolo è intrinseco alla cultura a cui appartiene; ma allora come si concilia il fatto che Hegel affermi che esso è il chiaro rimando allo spirituale se noi, appartenenti ad un'altra cultura, non lo possiamo interpretare e non ci appare chiaro il suo significato? Come può essere chiaro? E come può essere simbolo? Per noi diventa tutto da decodificare e da comprendere. E ciò vale sia in prospettiva orizzontale (culture contemporanee, ma diverse) che verticale (stessa cultura che però può essere, nell'utilizzo dei suoi simboli, incomprensibile se rapportata nei secoli). Lo si dice, subito, senza tanti giri di parole, ciò avveniva poiché - a quei tempi - Hegel aveva ancora una visione da uomo dei suoi tempi, appunto, e luoghi e gli apparteneva una certa considerazione esageratamente eurocentrica che non ha ragion d'essere, in effetti ed alludeva all'indeterminatezza dell'affermarsi del simbolo in altre zone che non fossero l'Europa ove maggiore era tale rappresentazione ma ciò appunto era visione di quei tempi, ormai completamente andata depotenziandosi.

Da ciò però possiamo dire che il simbolo diventa convenzionale alla cultura cui appartiene, dunque si trasforma in segno? Apparentemente, perché in realtà il simbolo è un rimando ad un significato, non lo esplicita chiaramente e non si esaurisce in esso. Dunque possiamo affermare che un segno è un simbolo convenzionale evidente per la cultura che l'ha prodotto (...) e dunque cosciente anche se è pur sempre allusivo perché non è il concetto puro della cosa che rappresenta ma semmai la rappresentazione segnica della concettualizzazione.

Grazie per la lettura. Vi sarei grato se andaste anche sul mio canale YouTube e vi rimando al prossimo post che sarà una prosecuzione del presente e si intitolerà "L'architettura: il suo sviluppo epocale e le sue rappresentazioni concrete"

Opere consultate:

Hegel G. W. F. Estetica, edizione italiana a cura di N. Merker, Milano, 1963, rist. Torino, 1967 

Mandarino Ivo, Tavola Rotonda? Cosa possono comunicarsi/ci?, Riflesso, Asti, 2005   


PROF. IVO MANDARINO

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Prof. Dr. Ivo Mandarino, divulgatore culturale e filosofico.

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