Il caso Galilei - II parte: l'accusa, il processo.

 


Il Prof. Ivo Mandarino in due immagini mentre attende alle proprie attività.





E qui in altre due foto che lo ritraggono in versione un poco meno professionale e più casalinga.

Il caso Galilei - parte II

Abbiamo concluso, ieri, la prima parte del caso Galilei con l'accenno ai problemi nei riguardi delle autorità ecclesiastiche e con le argomentazioni che Galilei inserisce nelle sue opere, anche in forma di dialogo, usando le immagini ed i simbolismi.

Probabilmente Galilei non avrebbe mai immaginato che le sue argomentazioni potessero portare a così tante conseguenze sul piano personale e dei rapporti con la Chiesa, fino al punto da essere considerato eretico e da dover abiurare.

Galilei, ad un certo punto, inserisce persino le parole del Papa (Urbano VIII) in bocca a Simplicio, un modesto protagonista dei suoi dialoghi.

Quello che emerge subito è il fatto che il pensiero di Urbano VIII va a colpire direttamente le certezze della scienza che si ammanta, oltre che di false convinzioni, anche di un certo modo altero di portarle avanti, mentre il sano realismo di Galilei si rinforzava grazie alle argomentazioni dimostrate da parte della scienza.

Il suo modo di fare colpiva però, così, tanto gli ecclesiastici quanto gli scienziati ed i filosofi futuri. Dai primi veniva tacciato di cadere nell'eresia, dagli altri veniva accusato di essere perfin troppo dogmaticamente fiducioso nella scienza, nelle sue teorizzazioni e nei suoi risultati.

Il fatto in sé, come è facile intuire, fu - per molto tempo - insabbiato, come si usa dire, poiché a nessuno conveniva aprire le polemiche su di una questione tanto delicata che andava nella pesante direzione di contrapporre un filosofo e scienziato della caratura di Galilei e la Chiesa Cattolica. Inoltre, era pur sempre un problema da dover essere gestito e, qualora si fosse sbagliato a condurre l'operazione, ecco che si sarebbe potuto aprire un vero scandalo. Proprio ciò di cui la Chiesa non aveva bisogno e, dall'altro lato, neppure Galilei.

La vicenda fu minimizzata e si cerco di conciliare le opposte vedute senza rimarcare troppo le differenze.

Addirittura giungiamo, in epoca moderna, contemporanea, sotto il papato di Giovanni Paolo II, a riabilitare integralmente la figura di Galilei come studioso (ovviamente, ma non c'era nessun bisogno in senso contrario) e come credente

Tornando a quell'epoca, Galilei si inimicò - all'inizio - una buona parte degli aristotelici ed il suo copernicanesimo incominciò ad essere visto con sospetto ma, poi, con ancor maggior astio iniziarono le reazioni da parte degli intellettuali clericali.

Tutto sommato le controversie con i gesuiti furono piuttosto miti, seppur presenti ma le dispute più aspre si ebbero con i domenicani che parlarono di eresia aperta da parte dei copernicani di cui Galilei era esponente.

Essere copernicani, come si è accennato al post precedente, voleva dire credere che la Terra non fosse più collocata la centro dell'Universo, soprattutto ritenere che fosse in movimento e che questo movimento fosse di due tipi su sé stessa ed intorno al Sole.

Questo fatto Galilei lo aveva scoperto per analogia, nel senso che Copernico aveva parlato di un movimento di Giove (e dei propri satelliti) intorno al Sole. Se così è - diceva Galilei - allora anche la Terra (con la Luna) può ruotare intorno al Sole.

Essere aristotelici, invece, voleva dire essere tolemaici e la cosmologia tolemaica sosteneva che i corpi celesti, per essere perfetti, dovevano essere immobili, incorruttibili e non soggetti al divenire, questione che poi era già stata affrontata dalla Scolastica ed anche da autore come Cusano, Leonardo e Giordano Bruno.

Soprattutto la confutazione poteva avvenire attraverso l'osservazione diretta dei fenomeni (le macchie solari,...) con l'applicazione del metodo scientifico.

Fu tramite la delineazione teorica del metodo scientifico e lo sviluppo pratico, attraverso l'osservazione con il cannocchiale (che del metodo scientifico era un'applicazione pratica), che Galilei dimostrò il cambiamento e le mutazioni di un corpo celeste, oltre ai suoi movimenti.

Quando Galilei parlò di "funerali" della scienza aristotelica il vaso fu colmo e per la Chiesa dell'epoca si trattò di passare al contrattacco; in modo particolare si riuscì ad evidenziare che non era vera neppure la teoria secondo cui la Terra sarebbe un corpo opaco che non brilla di luce propria ed è unicamente illuminato dal Sole.

Troppe questioni che stavano sfuggendo al controllo della Chiesa e troppe questioni che dovevano trovare una risposta. Tacere non era più possibile, insabbiare non si poteva più, bisognava trovare il modo di sistemare l'affare Galilei.

Un domenicano, tal Niccolò Larini chiamò in causa il Tribunale del Sant'Uffizio, per attaccare il copernicanesimo di Galilei ed il modo di intendere il rapporto tra le Scritture e la Scienza di Galilei stesso.  

La questione si alimentava di giorno in giorno ed assumeva i contorni sempre più ampia a livello teologico e dottrinale. Per dar forza al discorso accusatorio si volle far intendere come fosse falsa e destituita di alcun fondamento la tesi eliocentrica (Sole al centro) e come dovesse essere considerata falsa filosoficamente ed erronea fideisticamente la mobilità dei pianeti, soprattutto della Terra.

I provvedimenti proseguirono con la messa all'Indice delle opere di Copernico ma - per il momento - nulla di personale, né di diretto, venne assunto contro Galilei.

Almeno formalmente, poiché Galilei fu convocato in forma privata dal Cardinal Bellarmino (per volontà di Paolo VI) ed ammonito formalmente.

L'incontro, con l'assunzione del primo provvedimento di natura formale, fu verbalizzato ed assumerà grande importanza nel processo che verrà istituito.

Su questa fase della vita di Galileo, per la verità, il "giallo" che si venne a creare non troverà mai del tutto chiarezza formale e procedurale, al punto che qualcuno ha osato parlare della produzione posteriore a questo incontro di un verbale per ratificare la presa di posizione ufficiale della Santa Sede.

Fin dove si spingevano reali motivazioni di denuncia e di appiglio per la condanna e dove iniziavano, invece, motivazioni puramente di natura screditante e calunniante nei riguardi dell'anziano scienziato?

Ad un certo punto, anzi, si pensò che la questione si fosse risolta con questo semplice sistema tra il rude ed il bonario e che Galilei non avesse ricevuto altra ammonizione o censura o punizione come se l'importante fosse che egli avesse semplicemente smesso di professare - come vera - la dottrina copernicana.

In effetti, si era nel 1616, gli anni passarono e non se ne parlò quasi più, né Galilei vi fece riferimento ma, nel 1632, dopo tanti anni di silenzio intorno alla vicenda ecco che Galilei, anche corroborato dalla salita al soglio petrino di Urbano VIII, cercò di riportare in auge l'argomento, confrontando i due grandi sistemi cosmologici della storia: da un lato quello aristotelico-tolemaico, dall'altra quello copernicano e lo fece con la pubblicazione dei Dialoghi in cui mise in bocca al... semplice Simplicio le parole stesse del Papa, definendolo addirittura come sostenitore della "mirabile e veramente angelica dottrina".

Questo fatto, però, non fece che far precipitare la situazione poiché il Papa lesse in questa vicenda, oltre che il ritorno alle teorie considerate - per fede e per scienza - eretiche, anche un attacco alla propria persona, sentendosi dileggiato.

Galilei evitò il carcere duro già, a suo tempo, comminato a Bruno ed a Campanella solo per l'età ormai avanzata e le condizioni di salute, ormai precarie e compromesse, tuttavia gli fu intimato di recarsi da Firenze a Roma ove fu posto in stato di prigionia, seppure in stanze tutt'altro che simili a celle.

L'attacco era forte, però, perché veniva accusato di aver taciuto la trattazione della teoria copernicana (ch'egli aveva svolto in forma di comparazione con quella aristotelico-tolemaica) e per ciò aver ottenuto l'imprimatur di padre Riccardi del Sant'Uffizio.

Durante l'instaurazione del processo vero e proprio, Galilei si difese affermando che non voleva affatto insegnare la dottrina copernicana ma solo mostrarla accanto a quella aristotelico-tolemaica.

Del resto, se si fosse limitato a quello, non sarebbe certo stato l'unico pensatore ad averla trattata ma poi egli esagerò, in modo platealmente ingenuo affermando che non l'aveva fatto per insegnarla, né per difenderla e, addirittura, raggiunse l'apice del grottesco quando affermò che lo aveva fatto per dimostrare l'infondatezza della teoria copernicana.

Fu sufficiente ai suoi accusatori prendere il testo e leggere i passi ivi contenuti per sbugiardarlo palesemente.

Galilei non poteva, come in effetti fece, che ammettere di essere andato al di là dell'ammonizione e disse chiaramente che aveva difeso il sistema copernicano.

La sentenza di condanna che venne emessa nei suoi riguardi il 22 giugno 1633, trovò - in risposta - una confessione (apparentemente appassionata ed apparentemente sincera) di Galilei che non poté, far altro, che riconoscere gli errori commessi, ammettendoli e ripromettendosi di non commetterli più per il futuro, abbandonando così ogni idea di proferire - per il futuro - ancora certe teorie.

Peccato solo che, nel merito scientifico, avesse ragione lui e che per ristabilire la verità e per ottenere tardive scusa siano dovuti trascorrere ben più di tre secoli e mezzo!

Prof. Ivo Mandarino                              

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