All'epoca dell'Antica Grecia, a contatto con i filosofi e con il popolo.

                All'epoca dell'Antica Grecia, a contatto con i filosofi e con il popolo.

Ho pensato, molto spesso, a come dovesse essere la vita al tempo degli antichi filosofi greci, grossomodo più di due millenni e mezzo circa fa.

Probabilmente ci troveremmo in mezzo a popolazioni che, al di là di differenze esteriori di vita e di tradizioni molto avrebbero a che spartire con le nostre ansie, angosce, timori esistenziali,... lotterebbero continuamente contro una quotidianità fatta di tante vittorie e pari sconfitte; noteremmo i loro problemi relazionali, di reciprocità, economici, di lavoro e di fatica fisica.

Ecco, effettivamente, la fatica fisica si presenterebbe come un aspetto chiaramente più pesante e pressante, non vi sarebbe tecnologia, se non ridotta alla costante materialità e concretezza di riferimento nell'uso, nella pratica, di strumentazioni più legate a ciò che è sotto la lente dei cinque sensi.

Nessuna astrazione tecnologica, dunque... eppure non mancherebbe di certo, neppure nelle persone che oggi definiremmo come meno scolarizzate quella pratica attuativa al pensiero, al porgersi domande non solo riferite a questioni pratiche e contingenti ma anche di natura prettamente esistenziale, logica, argomentativa con un'incessante ricerca per il sapere che, sotto altri aspetti, oggi, non appare essere neppure così contemplata.

L'esercizio della scoperta del sapere, quanto più in profondità sia possibile e relativamente alle capacità di ciascuno, pare essere - dunque - una costante che accompagna lo spirito dell'uomo greco. Il suo spirito originario è anche uno spirito un po' ribelle e restio ad uniformarsi pedissequamente a ciò che sente ma vuol sempre cercare e ricercare e rendersi personalmente conto di ciò che vede e che fa, di ciò che lo circonda ed in questo tenta di affondare le radici nelle cause ultime o, se vogliamo, nelle cause prime (a seconda della prospettiva che si voglia adottare) in modo che, comunque, nulla - metodologicamente (epistemologicamente, diremmo...) - possa, né debba, essere tralasciato o trascurato.

Ed il discorso non è solo epistemologico (e già qui dovremmo fare tutta una serie di considerazioni su tale significato oggettivo ed interpretativo a livello terminologico...) ma è proprio qualcosa di interiormente sentito di avvertito come strutturale a sé ed al proprio bisogno di sapere incessantemente.

Certo, ci troveremmo, lo si diceva, in un mondo fatto anche di pastori, agricoltori, commercianti, tutti intenti ai loro duri e pratici lavori ma ciò che accomunava tutte queste persone, fossero lavoratori come tutti o ricercatori e pensatori in modo, diremmo oggi, quasi con carattere di esclusività, in tutti - si diceva - riscontreremmo quel desiderio abituale e comune di giungere - quanto più possibile alle verità ultime di tutte quelle che sono le manifestazioni esteriori e terrene.

L'anelito sarebbe quello di spingersi oltre ogni valico ed ogni limite...

Certo, poi l'uomo greco non dismetterebbe di svolgere tutte quelle attività pratiche a cui è chiamato di fatto ogni giorno, l'uomo cosiddetto "comune" si esalterebbe - un po' come oggi - per i giochi olimpici, per le gare di atletica o di lotta, attività molto praticate a quei tempi e che, probabilmente, facevano dei gladiatori e dei lottatori del pancrazio antico, un pugilato-lotta molto cruento ove quasi tutti i colpi erano ammessi (esattamente come avverrà anche nella Roma Antica) delle vere e proprie star, quasi degli "influencer", certo osannati dalla folla degli stadi e delle arene in cui si svolgevano queste competizioni.

Ma c'è da dire, anche e proprio sulla scorta di quanto sin qui abbiamo trattato, che diversa può essere l'impostazione e la stessa visione d'assieme (in parte già vista e trattata) a seconda del periodo cui ci si riferisce.

Ecco allora che, se parliamo dell'uomo greco del periodo convenzionalmente inteso come prefilosofico, allora ci troviamo nell'età del mito in cui tutto è narrato dalla saga e dall'epopea affascinante dei grandi scopritori di terre e di popolazioni con cui interagiscono e con cui si... "azzuffano", conquistando o perdendo territori, a seconda anche delle "grazie", delle "benevolenze" o delle "paturnie" degli dei che sono molto antropomorfizzati e rivelano quasi, per dirla in breve, dei super poteri, parteggiano per uno o l'altro degli esseri umani cui danno il loro benevolo aiuto, "tifano", si schierano per l'uno o per il secondo d'essi, arrivando così a liti e meschinità tipiche dell'umano stesso.

Però sono dei, quindi dotati di poteri magnifici e potentissimi con i quali "confezionano" l'andamento di una tal vicenda in un modo piuttosto che in un altro.

Al di sopra di loro c'è qualcosa però, di cui avvertono chiaramente la presenza e lo stesso Zeus (Theos in greco), che diverrà la traduzione di "Dio", ha più di una sensazione di non esaurire, con il proprio intervento l'andamento delle umane vicende... c'è un Zeus più forte, perfetto, potente di lui? C'è un Zeus che se ne sta oltre le umane meschinità e non è solo entità potenzialmente più dotata di tutti gli altri suoi pari che stanno sopra agli uomini...?

Intanto anche Zeus sente che il tempo, Chronos, non dipende totalmente da lui. Chronos, in greco antico vuol proprio dire tempo, inteso in senso non meteorologico ma come passaggio di attimi sequenziali...

La Lingua Greca ha anche questa intrinseca bellezza e potenza insieme: rappresenta l'oggetto di studio tramite le parole ed in effetti, tutti, dai ricordi scolastici ne hanno memoria...

La Biologia, ad esempio : parola composta da Bios (vita) e da Logia, Logos (discorso intorno a qualcosa che indica anche la ragion d'essere di quel qualcosa,...), cioè il perché è in un certo modo e perché è proprio così e non differentemente.

Ecco la motivazione di studiare la ragion d'essere nei loro significati più reconditi ed intrinseci delle cose, attraverso le loro concrete manifestazioni.

E qui entra in gioco l'episteme. Epistemologia vuol dire, infatti, letteralmente "ciò che studia la struttura di una disciplina", ci parla cioè del suo oggetto di studio e di indagine e ci parla anche del modo con cui - metodologicamente - lo fa, dei percorsi culturali e concettuali di cui si serve per giungere a dimostrare l'oggetto di studio.

La stessa "Teologia" che strutturalmente si definisce molto tempo dopo, letteralmente vorrebbe significare: lo studio ed il discorso di ciò che riguarda Dio, ma anche ciò che definisce Dio, nelle dimostrazioni razionali (e non solo fideistiche) per rappresentarsi le Sue caratteristiche fondanti e precipue.

Ma ora non è ancora il caso di affrontare il discorso in questo modo ed alla luce di queste tematiche.

Anzi, fermiamoci un attimo a ragionare e polarizziamo l'attenzione su ciò che sino ad ora abbiamo qui detto.

Ciò che interessa è sapere che siamo ai tempi del mito, della grecità classica tutta impeto e furore, avrebbe detto il filosofo Nietzsche (1844 - 1900) che rifuggiva dall'epoca di Socrate e di Platone ritenendo che si fosse affievolito il carattere indomito dei greci a tutto vantaggio di un... "gioco di sponda" per spianare la strada al pensiero cristiano che, proprio nell'etica socratico-platonica, avrebbe trovato i propri punti di riferimento.

Ma anche in questo caso non è opportuno approfondire il discorso su questo versante, almeno per ora. A tempo e debito lo faremo certamente. Nietzsche era così "avvelenato" nei suoi giudizi contro Socrate e Platone poiché, dal suo punto di vista, naturalmente, riteneva che il cristianesimo avesse portato l'uomo a costruirsi dei lacci e dei lacciuoli da cui, anzi, doveva liberarsi se solo voleva dar vita a quel... non Superuomo come spesso è stato un po' troppo semplicisticamente identificato ma, comunque, almeno a quell'Oltre l'uomo come suggerirebbe una più corretta analisi, su cui è lecito, in ogni caso interrogarsi...

E ci mancherebbe, visto che Nietzsche accusa il "duo" Socrate - Platone di aver "sepolto" per sempre lo spirito ardimentoso (anche intellettualmente, dice lui) dei greci antichi!

In ogni caso, tra il periodo del mito e quello di Socrate - Platone (ed Aristotele), si colloca ancora un altro momento, quello che si identifica come periodo "presocratico", cioè quello in cui si collocano tutti i filosofi sin qui trattati ed anche alcuni altri importanti che andremo senz'altro a trattare poiché mancano ancora alla nostra argomentazione.

Bene, c'è da dire che i presocratici, come più spesso un tempo di oggi, si definivano, rappresentano - agli occhi di Nietzsche, e non solo - quello spirito indomabile che riversano tanto nelle conquiste belliche quanto nell'arte dell'argomentare per sapere.

Diciamo che si può solo dare un'interpretazione di tipo storico, almeno per ora: e cioè che al periodo del mito, che non è ancora filosofico, anche se già si pone le domande tipicamente filosofiche ma si dà risposte che sono in una sfera puramente materiale e concreta e tutto l'agire è nel fenomenico, compreso pure il campo d'azione degli dei, ecco a questo periodo ne succede un altro in cui vi sono filosofi impegnati nella ricerca e nell'attività pratica e teorica (e teoretica) e rappresentano, ad esempio per il già citato Nietzsche, i fondamenti di quella società greca fatta di tanto coraggio e di tanta vis.

Il greco non manca di decisionalità e deciso lo è sia quando è atleta nelle arene, sia quando è militare nelle conquiste territoriali, sia quando è impegnato nell'attività di pensiero.

Ma su questi concetti, torneremo evidentemente. Teniamo presente, dunque, che così abbiamo diviso il periodo antico in: prefilosofico (con il mito) e filosofico e quello filosofico ulteriormente lo abbiamo ripartito in: presocratico e socratico, da taluni - soprattutto un tempo - individuato come il vero e più significativo inizio della filosofia stessa.

Per terminare questo esageratamente lungo post, solitamente per far addentrare al meglio nelle tematiche i miei allievi li porto a ragionare insieme a me su una frase che disse lo stesso Platone, ben rimarcando il significato e la pregnanza dei singoli termini, con ciò giustificando quanto si diceva ovvero che nella terminologia è già insito il significato dell'oggetto di studio e, soprattutto, le sue peculiarità metodologiche e sostanziali.

Ecco allora che cito, arrivato a questo punto la famosa frase di Platone, ovvero: "La psiche è un fondo enigmatico e buio".

Frase breve, certamente, ma ricca e carica di significato, soprattutto se - lessicalmente - la... "decodifichiamo", tenendo conto che - per il greco antico - la psiche è l'animo umano e non già l'anima intesa come afflato vitale ed anche come entità autonoma ed ingabbiata dal corpo nel suo processo di conoscenza, liberandosi dal quale giunge - proprio in un'ottica cristiana, soprattutto dei primi tempi - alla conoscenza dei fondamenti di tutte le cose; in più, questa entità è un fondo enigmatico e buio laddove per enigma intendiamo - in senso greco - il problema che non può essere sciolto mentre il problema in quanto tale è un quesito, un interrogativo che trova ordinariamente risposta.

Ragionando, ma ci torneremo, su tutto ciò che abbiamo detto, possiamo dire che la frase ora riportata ci fa ben capire quale guazzabuglio insondabile sembri essere la mente umana se è vero, come è vero, che sino a non molto tempo fa la stessa frase campeggiava all'entrata di un Reparto di Psichiatria di un noto Ospedale il cui Primario era nome molto noto ed autorevole nell'ambito medico - sanitario. 

Prof. Ivo Mandarino        

                                 

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