Vita ed opere di Platone (in breve) cui seguirà un Video sul mio canale YouTube/Riflessioni del Prof. Ivo Mandarino

 Vita ed opere di Platone (in breve) cui seguirà un Video sul mio canale YouTube

                               Riflessioni del Prof. Ivo Mandarino

Platone nacque ad Atene nel 427 a.C. e quivi morì nel 347 a.C. dopo aver soggiornato, per un certo arco di tempo, anche a Siracusa con l'intento, non riuscito, di diventare il consigliere del tiranno.

A livello economico Platone non se la passava affatto male provenendo da una famiglia aristocratica ed essendo perciò benestante. Da p'arte di padre aveva addirittura un'origine nobiliare.

All'inizio fu discepolo di Cratilo che era stato a sua volta discepolo di Eraclito poi, sentendo Socrate, Platone fu come folgorato dalla sua filosofia, lo seguì e ne divenne il principale discepolo.

Fu molto colpito, inizialmente, dal fatto che Socrate non lasciava nulla di scritto per i contemporanei e per i posteri ma tramandava tutto oralmente ritenendo che la scrittura fosse una forma di pigrizia mentale.

Platone seguì in molto il pensiero del maestro ma, sotto questo aspetto, fu - invece - letterariamente molto prolifico e produttivo.

All'inizio il suo progetto era quello di dedicarsi alla politica come arte e come scienza del buon governo e della partecipazione attiva per il miglioramento sociale e della cosa pubblica. Ma avvenne un episodio decisivo nella sua vita. Quando Socrate fu condannato a morte per accuse ch'egli riteneva palesemente infondate e cattive, perfide, perdette ogni fiducia nella politica così come l'aveva conosciuta e, soprattutto, venne meno il presupposto di dedicarvi la vita come attività prediletta. Fu deluso e non riprese più l'antico entusiasmo. Vero è che scrisse la Repubblica in cui oltre ad altri argomenti quelli politici trovano ampio spazio, pure sotto forma di critica, ma qualcosa in Platone si ruppe per sempre.

Decise che l'attività a cui doveva dedicarsi era la ricerca, incessante e spasmodica per giungere a comprendere la verità ultima, i principi delle cose, a cui già si era dedicato il suo grande maestro. E così fece, anche se cambiò taluni mezzi e strumenti poiché la conoscenza era pur sempre opera di reminiscenza ma, contestualmente, anche di apprendimento e Platone riteneva di sapere molte cose e di saper fare molto bene l'insegnante.

Trovò anche una soluzione di compromesso tra l'idea socratica di non scrivere nulla e la sua convinzione, invece, di dover scrivere e si "inventò" la soluzione dei dialoghi come se fossero una semplice trasposizione scritta di ciò che veniva affermato e ricercato verbalmente tra due interlocutori.

La forma dialogica fu davvero una grande trovata che contrassegnò molte delle sue opere.

In merito alle stesse, è poi possibile fare una ripartizione per periodi che non sono solo di natura anagrafica ma contenutistica e concettuale.

Tra le opere giovanili ricordiamo: l'Apologia di Socrate, il Critone, l'Alcibiade, il Teage, l'Ippia maggiore e minore, il Lachete, l'Eutifrone, lo Ione, il Carmide, il Liside, il Menesseno (sull'inconsistenza dell'oratoria democratica), il Gorgia, il Protagora, il Menone.

Tutte queste opere si rifanno al momento in cui Platone apprende l'insegnamento del suo maestro Socrate e questo insegnamento, sostanzialmente, fino all'ultimo testo, si sostanzia - per l'appunto - in una indagine conoscitiva che deve portare all'acquisizione di competenze (diremmo noi con linguaggio moderno) per poter fare nuove scoperte e conoscenze. Quella che per Socrate era la reminiscenza, per noi è l'acquisizione di competenze (e non di soli concetti e nozioni, dunque...) in grado di portarci a nuove e più approfondite conoscenze da usarsi in modo trasversale. Si assiste, tuttavia, ad un mantenimento di molti dei caratteri socratici, ma anche ad un progressivo allontanamento dagli stessi proprio per la maggiore attenzione attribuita al processo di apprendimento rispetto a quello di reminiscenza che pure permane. A rigore, anche il I libro della Repubblica sarebbe da ascrivere a questo periodo. In somma sintesi: è il periodo in cui Platone riporta e fa i conti con il pensiero del suo grande maestro, lo rievoca, ne recupera moltissimi aspetti, se ne allontana da altri.

Il 387 a.C. esordisce con una novità per Platone che apre l'Accademia (la prima era stata all'interno del Ginnasio da Accademo, da cui il nome). In questo periodo, definito della maturità, troviamo opere quali la Repubblica, senz'altro, con propaggini del pensiero socratico, con il Fedone, l'Eutidemo (sull'inconsistenza dell'Eristica), poi nella tardi maturità scriverà opere come il Fedro, il Parmenide, il Teeteto. Le opere di questo periodo sono tutte orientate sull'aspetto politico, quello ontologico, quello conoscitivo puro, talvolta anche in una mescolanza ordinata delle stesse tematiche.

I testi scritti nell'età più avanzata presentano tutti un ritorno ed una rielaborazione ed una riformulazione delle tematiche trattate precedentemente. Anche lo stile, è differente. Infatti vi è un chiaro passaggio dal dialogo alla formula drammatica. Le opere di questo periodo sono: Clitofonte, Timeo, Crizia, Leggi, Epinomide in cui gradualmente l'influsso di Socrate si fa, via, via sentire sempre meno, fino a non lasciare praticamente più traccia. Qualcuno vi ha visto un percorso di maturità personale di Platone che, all'inizio, tutto preso dalle teorie del suo maestro le riporta pari, pari (o quasi) per quel che sono e poi, a mano, a mano che passa il tempo, maturando concettualmente altre posizioni se ne allontana, fino - in certi casi - a distanziarsene.

Ovviamente, sia qui che nei video postati non è possibile approfondire più di tanto tutte le tematiche come invece andrebbe senz'altro fatto. E' opportuno, allora, perlomeno evidenziare alcune delle stesse, all'interno di analisi, precisazioni, argomentazioni che Platone stesso fece: interessanti al riguardo il mito della caverna o di quello di Er, o dell'auriga, tra l'altro molto suggestivi.

La teoria delle idee è il pilastro attorno a cui ruota tutta l'indagine conoscitiva (e di rimembranza) di Platone. Per lui esiste un mondo perfetto in cui le Idee, ingenerate ed increate, ma esistenti da sempre, nella loro essenza ontologica, che rappresentano il mondo dell'Iperuranio assolutamente perfetto che noi non potremmo neppure immaginare vista la nostra imperfezione e che è invece quel mondo da cui derivano tutti i nostri concetti ma anche le idee delle cose materiali che, sulla terra, esistono come puro rifacimento imperfetto, risiedendo la perfezione appunto nel mondo intellegibile. Le rappresentazioni plastiche nella materialità sono delle semplici rappresentazioni imperfette. Ed è così che anche tra le Idee vi è una sorta di gerarchizzazione poiché vi sono quelle che si riferiscono a fatti o concetti e quelle che si riferiscono a cose ed oggetti. Il mondo sensibile presenta così tutta la sua imperfezione e caducità. Una prova giunge dal già più volte citato Mito di Er, nel quale un soldato - ridotto in stato comatoso - ha la possibilità di raggiungere il mondo dell'Iperuranio, in cui vede la realtà spirituale ed ontologica delle Idee stesse e comprende che il corpo è una sorta di gabbia per comprendere la realtà piena. Solo l'anima potrà vedere un giorno la perfezione e, qualora non avesse compiuto sulla terra, un percorso rigorosamente morale, allora dovrà reincarnarsi (metempsicosi che Platone riprende dai pitagorici).

Il corpo è una gabbia per l'anima, allora, secondo Platone. La condizione umana, profondamente contradditoria e limitata, viene ben evidenziata da Platone con il mito dell'auriga. Egli immagina che un'auriga sia trainata da due cavalli, uno bianco e l'altro nero. L'auriga rappresenta la nostra razionalità ed i due cavalli, le nostre due opposte tendenze, ovvero quello bianco la spinta verso la spiritualità e vorrebbe dirigersi verso il cielo, quello nero spinge per andare verso la corporeità e, dunque, per rimanere sulla terra. L'uomo allora, per questo, vive una realtà contradditoria ed esistenzialmente incerta e talora pesante, frutto della precarietà e delle opposte tendenze.

Solo al momento della morte, l'anima si libera dalla gabbia del corpo e può andare nel mondo dell'Iperuranio delle Idee, nel mondo ideale, appunto e di lì bisogna vedere quale sarà il suo destino: se la reincarnazione con ancora destinazione corporea e terrena, oppure se già tendente a rimanere nell'Iperuranio stesso. E qui torneremmo al mito di Er, già menzionato più volte.

Se torna sulla terra, rimane qualcosa di ciò che ha appreso in questo mondo delle idee, essendo per il nostro cervello limitato e finito elaborarne di concettualmente più complesse ed allora la spiegazione è che esse debbano dipendere dall'apprendimento che se ne è fatto durante la permanenza nell'Iperuranio per cui la reminiscenza, unita ad un solido processo di conoscenza ci porta a comprendere almeno la realtà di quaggiù con un rimando, perlomeno fugace, a sfiorare - per dir così - la realtà di lassù.

A questo punto si pone il problema concreto di che cosa non sia la conoscenza: certo non è conoscenza quella sensibile poiché frutto di conoscenza di imitazioni concrete dell'ideale reale del mondo metafisico. Sembra anticipare - lo si dice sommessamente con le dovute cautele - il "i miei sensi potrebbero ingannarmi" che secoli dopo, pur partendo da altre premesse e pur giungendo ad altre conclusioni pervenne Cartesio.

La conoscenza vera può essere data soltanto dalla corrispondenza tra ontologia e gnoseologia, tra scienza dell'essere in quanto tale e scienza della conoscenza logica dell'essere.

La prima, la conoscenza sensoriale è riconducibile alla conoscenza fallace dei sensi, del mondo sensibile, è doxa, cioè in greco "opinione" e non fatto obiettivo ed obiettivabile.

L'altra, la seconda si chiama episteme (l'epistemologia è anche il modo con cui una scienza sviluppa il proprio modo di conoscere e di procedere e giunge a conoscere, o per meglio dire, ad intercettare quel mondo delle idee che è perfezione, dunque tale modus allude e si avvicina alla perfezione.

Il concetto di conoscenza, peraltro, viene anche sviluppato nel mito della caverna dove alcuni operai sono costretti a lavorare e vedono delle figure sulla parete della nuda roccia, grazie alla luce di un fuoco che proietta le loro ombre.

Uno di questi operai si rende conto che probabilmente quella non è la realtà e quelle non sono le reali cose ma che tali gli vengono prospettate dai suoi carcerieri.

Un giorno riesce a liberarsi e, risalendo in superficie, approda alla realtà naturale dove può vedere tutto ciò che lo circonda e... finalmente gli si aprono letteralmente gli occhi.

Torna dunque nella grotta per risvegliare dalle loro illusioni gli altri operai che, però, dopo un iniziale interesse sono convinti che egli non racconti la verità e voglia soltanto metterli nei guai con i loro "padroni" e così avviene che, purtroppo, l'intrepido e coraggioso operaio trova, per mano loro, la morte.

Il processo di conoscenza è però per Platone l'unico che possa portarci a renderci conto della realtà vera e come tale, proprio per un impegno anche morale, va perseguito sino alla fine della vita sul modello socratico.

In termini pratici, ciò che può fare l'uomo è quello di creare una società che egli definisce dei migliori, ma questi migliori sono i filosofi ed egli paragona la polis e la società nel suo insieme ad un organismo in cui albergano tre anime, perfettamente inserite tra loro ed equilibrate in un'ottica della messa in comune di tutto ciò che si fa, che viene prodotto materialmente, intellettualmente o erogato in termini di servizi.

Ecco allora che, secondo la notissima tripartizione platonica, la società è un corpo in cui i lavoratori manuali (artigiani, contadini, operai) rappresentano la temperanza e sono costituenti quella parte definita anima concupiscibile; i guardiani (militari, esercito, difesa) rappresentano il coraggio e sono l'anima irascibile dell'organismo sociale; i reggitori sono i capi, i politici, nella sua utopia incarnati dai filosofi divenuti politici o dai politici divenuti filosofi e rappresentano la sapienza, ovvero l'anima razionale.

Questo è quanto descrisse Platone nella sua celeberrima opera la Repubblica e, con questo, chiudiamo, ben sapendo che l'argomento è stato trattato non in modo totale e onnicomprensivo ma soltanto in alcune parti fondamentali che si riteneva potessero essere già una buona base propedeutica per farsi un'idea del filosofo onde approfondirlo successivamente. Inoltre, rimando a post ed a blog su cui sono già intervenuto sulla figura del filosofo Platone.      

Prof. Ivo Mandarino   


 
                                                             Prof. Ivo Mandarino


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